Via Otranto, 73 - Uggiano La Chiesa (LE) - Italy
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Le origini di Uggiano la Chiesa non sono certe. Gli insediamenti umani comparvero già nella preistoria, come confermato dalla presenza di monumenti megalitici, quali dolmen e menhir, sparsi nel territorio circostante.
La sua esistenza è segnalata nel periodo della colonizzazione greca e in epoca successiva il luogo fu frequentato dai monaci basiliani che realizzarono alcuni insediamenti rupestri, come ad esempio la chiesa cripta di San Solomo.
La formazione di un abitato propriamente detto è da ricondurre ai profughi della vicina città messapica di Vaste, distrutta nel 1147 da Guglielmo il Malo. In origine si ipotizza fosse principalmente una torre di avvistamento a protezione della città di Otranto; negli antichi documenti era chiamata infatti "Viggiano", toponimo di derivazione latina "Vigilarum", col significato di "luogo di vedetta e di controllo". Intorno alla torre sorse in seguito un villaggio che nel 1219 l'imperatore Federico II donò alla Chiesa Episcopale di Otranto, che ne tenne il possesso ininterrottamente fino al 1806, anno di soppressione del regime feudale. L'arcivescovo ottenne così il titolo di "Baron Oggiani". Da "Viggiano" il nome si trasformò in "Uggiano" a cui venne aggiunto "la Chiesa".
Da visitare:
La chiesa madre di Santa Maria Maddalena risale alla seconda metà del XVIII secolo. Possiede un impianto basilicale a tre navate, a croce latina, con tamburo e cupola. La facciata, terminata nel 1775, è divisa in due ordini ed è coronata da un fastigio mistilineo. Nell'ordine inferiore, tripartito da lesene con capitelli riccamente decorati a foglie e festoni, si aprono tre portali d'ingresso. Un'aggettante trabeazione sottolinea la partitura tra ordine inferiore e superiore. Sulle volute laterali dell'ordine superiore sono posizionate le statue di san Pietro e san Paolo, mentre sul portale centrale campeggia la statua di santa Maria Maddalena. L'interno, decorato a stucco con motivi di gusto rococò, ospita pregevoli altari sormontati da tele, molte delle quali attribuite al pittore leccese Oronzo Tiso.
La cripta di sant'Elena, o di san Solomo, deve il suo nome ad una probabile deformazione del termine greco "Eleusa", appellativo della Vergine, raffigurata in un affresco. Di origine bizantina, risale all'XI-XII secolo quando il Salento era uno dei possedimenti bizantini in cui i monaci basiliani esercitarono intensamente la loro attività divenendo una potenza economica e culturale in Terra d'Otranto. Possiede una pianta a tre navate, tripartita da 12 pilastri a sezione trapezoidale che scandiscono lo spazio interno. Alla chiesa si accede con un ingresso posto lateralmente; le pareti sono movimentate da nicchie e sono scandite da numerose piccole cavità per l'illuminazione con lucerne. Rimangono alcune tracce di affreschi che un tempo ricoprivano l'intera superficie.
La cripta di Sant'Angelo, situata nella valle del fiume Idro, prende il nome da un affresco di san Michele Arcangelo presente nel vestibolo rettangolare dell'antro. Risalente al XIII-XIV secolo, fu il luogo di culto principale degli abitanti di un insediamento rupestre. La cripta risulta molto danneggiata a causa del crollo della volta del naos[5]; tuttavia conserva intatta l'iconostasi litoide a tre fornici secondo la consuetudine del rito greco-bizantino. Il bema, dove si ufficiava il rito, è diviso in tre absidi orientate a sud-est. Della decorazione parietale originaria si conservano alcuni affreschi.
Altre chiese:
Altro da visitare:
La Torre dell'Angelo è ciò che resta dell'originario avamposto di vedetta. È stata costruita nel secolo XVII e si affaccia sulla piazza principale di Uggiano, tra le vie Santa Lucia e Casamassella. La torre è stata dichiarata nel 1939 patrimonio di interesse storico-culturale. Quando l'esercito spagnolo si ritirò cedette la proprietà della Torre ad un suo capitano stabilitosi ad Uggiano la Chiesa. Dal 1968 appartiene alla famiglia Siciliano. Ora è abitata dalla famiglia Siciliano - de Marco.
L'Antica Dimora della nobile famiglia Nachira, a due passi dalla Chiesa di Santa Maria Maddalena, con la facciata scandita da finestre sormontate da timpani triangolari, una struttura su più piani con cortile interno e terrazza, rappresenta un tipico esempio di dimora nobiliare di famiglia salentina. A tale nobile famiglia appartenne il colto monaco basiliano Macario Nachira, eroicamente morto per la fede nel 1480 insieme agli altri 800 Martiri di Otranto.
Il menhir San Giovanni Malcantone è uno dei più alti menhir di Terra d'Otranto. Si trova nelle vicinanze dell'omonima masseria, lungo la strada romana che conduce a Porto Badisco. Alto 4 m, il menhir si eleva su un basamento roccioso naturale e rozzamente rifinito. Presenta una forma parallelepipeda a sezione rettangolare con lato maggiore di lunghezza 72 cm e con il lato minore misurante circa 48 cm.
Il castello, posto a guardia del piccolo borgo fin dal Medioevo fu, secondo le fonti storiche, dimora del feudatario Ruggero Maramonte nel XIII secolo. Originariamente dotato di fossato e ponte levatoio, conserva ancora, dopo numerosi rifacimenti volti a ingentilirne la struttura, l'aspetto dell'antica fortezza.
L'edificio, a pianta rettangolare, presenta una facciata tripartita con base scarpata. Il piano superiore, separato da un robusto toro marcapiano, è scandito da finestre disposte simmetricamente ai lati della loggia centrale, sostenuta da mensole, che sovrasta il severo portale. La realizzazione della loggia e delle aperture, scolpite con motivi zoomorfi, fitomorfi e mascheroni, è ascrivibile al 1700 e segna il definitivo passaggio funzionale dell'edificio da fortezza a elegante dimora nobiliare. Lo stemma visibile sopra la balconata appartiene alla famiglia De Marco, all'epoca proprietaria dello stabile. All'interno un grande atrio conduce attraverso una scalinata al piano nobile, dotato di ampi ambienti voltati a botte. Al pian terreno sono ubicate le stanze un tempo destinate alla servitù e i locali di servizio. La parte posteriore del castello presenta grandi terrazze affacciate su un lussureggiante giardino mediterraneo. Residenza di numerose famiglie nobili succedutesi nei secoli, vanta illustri natali come il grande statista ed economista Antonio De Viti De Marco e il celebre poeta salentino Girolamo Comi.
La chiesa madre di san Michele Arcangelo risale al XVI secolo con rifacimenti successivi. Nel XX secolo subì radicali lavori di restauro che eliminarono gran parte dell'apparato decorativo interno. La semplice facciata, con un sobrio portale e finestra posti in asse, è affiancata dalla torre dell'orologio civico. L'interno possiede una pianta a croce latina con copertura a spigolo. Nel presbiterio domina il barocco altare maggiore scolpito in pietra leccese. La chiesa conserva due moderni dipinti, realizzati da Giovanni Galati tra il 1996 e il 1997, riproducenti il Battesimo di Cristo di Guido Reni e San Gaetano di Francesco Solimena.
La chiesa della Madonna della Scala fu edificata nel XVII secolo sul luogo occupato da una cripta basiliana. La facciata, coronata da un timpano triangolare e da un campanile a vela, presenta un semplice portale sormontato da una finestra rettangolare e affiancato da due nicchie vuote. L'interno è a navata unica coperta da una volta a spigolo. La navata, lungo la quale si aprono due arcate per lato, termina con un altare barocco in cui è contenuta la statua della Madonna della Scala.
Tradizione e folclore
Le Tavole di San Giuseppe si allestiscono in occasione della festa di San Giuseppe. Le famiglie devote approntano delle grandi tavole imbandite con grossi pani circolari a forma di ciambella, raffiguranti alcuni simboli (il giglio, il rosario, etc.) che rappresentano i "santi" che fanno parte della tavola. Il numero dei "santi" è sempre dispari e va da un minimo di tre (la Madonna, San Giuseppe e Gesù bambino) ad un massimo di tredici e vengono interpretati da persone care alla famiglia che allestisce. Le tavole vengono aperte al pubblico già nella serata del 18 marzo e ai visitatori vengono offerte le tradizionali "pucce" benedette. A mezzogiorno del 19 marzo avviene la consumazione delle pietanze. Il devoto che ha allestito la tavola bacia per primo i grossi pani, che dovranno essere poi baciati dal "San Giuseppe" prima di essere consegnati ai "Santi". Anche le altre pietanze sono servite prima a colui che interpreta San Giuseppe e poi agli altri "santi". Per tradizione la "Madonna" deve essere interpretata da una ragazza nubile.
Queste tavole vengono realizzate esclusivamente a Uggiano la Chiesa e nei paesi vicini di Minervino di Lecce, Casamassella, Cocumola, Giurdignano e Giuggianello. L'usanza è praticata, seppure con alcune differenze, anche nei comuni tarantini di Lizzano e San Marzano di San Giuseppe.
Approfondimenti:
Le tavole di san Giuseppe sono grandi tavolate imbandite il 19 marzo in onore di san Giuseppe. L'usanza è attestata in Salento nei comuni di Giurdignano, Poggiardo, Uggiano la Chiesa, Cerfignano, Cocumola, Minervino di Lecce, Casamassella, Otranto, Lizzano[1], San Marzano di San Giuseppe, Sava, Monteparano, San Pietro Vernotico, Erchie e San Donaci ed inoltre in Abruzzo, a Monteferrante[2]
Queste tavole sono realizzate con diverse pietanze che vanno dai lampascioni alle "rape", dai "vermiceddhri" (tipo di pasta con cavoli) al pesce fritto, dalle pittule alla zeppola, dal pane a forma di grossa ciambella ai finocchi e alle arance. Il tutto viene consumato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti "santi" impersonati da amici o parenti delle famiglie che vanno da un numero minimo di tre (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un numero massimo di tredici, sempre comunque di numero dispari.
Le tavole sono generalmente uguali in tutto il Salento, con alcune piccole differenze. Per esempio nel tarantino alcuni paesi hanno dei dolci tipici della tradizione dell'Altosalento mentre le tavole nel leccese al contrario hanno dei piatti tipici dei paesi in cui si svolge la tradizione. Queste differenze sono pochissime dato che i piatti tradizionali salentini della tavola sono presenti in tutti i comuni in cui c'è la tradizione.
Tutto inizia nel periodo precedente la festa, cioè tra la fine di febbraio e la prima metà di marzo, quando alcune famiglie devote preparano del pane o una pasta tradizionale - la massa e ciciri - o entrambe, per distribuirli a tutti coloro che si presentano a casa. È un rito antico, quello della massa: la preparazione, soprattutto molti anni fa, avveniva al ritmo della preghiera (si lasciava cuocere al tempo di un Pater Noster, si lasciava riposare nei limmi - recipienti tradizionali - il tempo di 10 Ave Maria..etc); la distribuzione seguiva la recita del rosario, quasi a voler "santificare" la fatica compiuta con la preghiera. La tradizione impone alla famiglia devota di non mangiare di ciò che ha distribuito se non le rimanenze: in sostanza sono banditi atteggiamenti del tipo "ne metto un po' da parte" o "ne lascio un po' per tizio o caio". Una forma ancora più forte di devozione spinge alcune famiglie (per grazia ricevuta o come segno propiziatorio) a preparare, il giorno della festa, le tavole di san Giuseppe: vere e proprie tavole imbandite e preparate secondo regole precise. Un tempo, i commensali erano scelti tra i poveri del paese, mentre oggi è più frequente estendere l'invito a parenti e amici, preferibilmente tra coloro che hanno maggior bisogno o hanno una famiglia numerosa. Il numero minimo è di tre - san Giuseppe, Maria e Gesù - a cui si aggiungono altre "coppie di santi" fino al massimo di tredici persone (numero che richiama i componenti dell'ultima cena). La taula può essere cotta, cioè formata da 13 pietanze per ciascun santo, tra cui: la massa e ciciri, verdura lessa, pasta col miele e la mollica di pane, pesce fritto, crema di fave (le favenette) con pane fritto; questa forma di preparazione era molto diffusa quando le famiglie erano tutte abbastanza numerose e la povertà era forte: in una situazione del genere, fare il santo ad una tavola significava una benedizione. Oggi, migliorate in genere le condizioni di vita e ridotto il numero di componenti delle famiglie, si è diffusa l'abitudine di mettere in tavola solo alcune pietanze simboliche (i lampascioni, il pesce fritto, la zeppola e la frutta) e comprare quello che si preferisce lasciandolo crudo, perché lo si possa consumare in seguito. Tuttavia, nell'immaginario collettivo, la forma massima di devozione, per la notevole fatica a cui si incorre, consiste nella preparazione della taula tutta cotta, specialmente se composta dal numero massimo dei santi (13): essa impone, infatti, la preparazione di 169 piatti (13 pietanze per 13 santi). Non mancano in nessuna tavola i tradizionali tòrtini - dei pani a forma di ciambella del peso di 5 o 3 chili - e, al centro, ben in vista, un'effigie di san Giuseppe o della Santa Famiglia; accanto alla sedia del commensale che avrà la "parte" di san Giuseppe, poi, si trova un bastone con posti alla cima dei fiori bianchi - a ricordo del miracolo che, secondo la leggenda, avrebbe consentito di individuare Giuseppe quale sposo della Vergine. Il giorno della festa, dopo aver partecipato alla messa, i santi si recano nelle case dove sono attesi: di lì a poco passerà il sacerdote per la benedizione, dopo la quale gli invitati si siederanno a tavola e inizieranno a mangiare. Tuttavia, sarà sempre San Giuseppe a "governare" la situazione: a lui spetta decidere quando si smette di mangiare ogni pietanza battendo tre volte la forchetta sul bordo del suo piatto. A questo segnale tutti gli altri santi devono smettere di mangiare e passare alla pietanza successiva, servita dai componenti della famiglia devota. Alla fine del pranzo, dopo un breve momento di preghiera, i santi portano via con sé tutto ciò che è rimasto e, se la taula è cruda, quello che è stato loro destinato senza dimenticarsi di pregare san Giuseppe perché esaudisca i loro desideri e aspirazioni. Il senso di un rituale che può sembrare complesso e astruso sta nella volontà di sviluppare il senso della "condivisione" in tutti coloro che, in un modo o nell'altro, perché devoti o invitati, partecipano alla Taula, ricordandosi che ciò che si ha va diviso e condiviso, avendo in mente la preghiera che caratterizza tutto il tempo della festa di questo "uomo del silenzio": Giuseppe.
Persone legate a Uggiano la Chiesa
Fonte: Wikipeda
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